
Un malinconico componimento amoroso settecentesco di Jean- Pierre Clairs de Florian ricorda come “Plasir d’amour dure qu’un moment chagrin d’amour dure toute la vie”
Nella letteratura e nell’arte, la condizione caratteristica dell’innamorato, è l’infelicità. Affetto da “Mal d’amore” uno stato d’animo che rasenta la depressione, l’innamorato, assume un’aspetto languido ,solitario, emaciato. Non mangia, non dorme, non lavora : sogna e sospira. Persino quando dopo un lungo corteggiamento raggiunge il suo obiettivo c’è spazio per l’amarezza. Nel coro in cui si conclude l’Aminta di Torquato Tasso inserisce in modo sorprendente una nota di doloroso disincanto, proprio quando gli spettatori si aspetterebbero un’inno all’amore per suggellare il lieto fine della vicenda: ” No so se il molto amaro/ che ha privato costui servendo, amando/ piangendo, disperando/raddolcito puot’esser pienamente/d’alcun dolce presente”.
L’innamorato senza difesa può chiedere consiglio a presunti esperti. Nella più classica delle scene, l’amante maldestro, inesperto o malcapitato viene messo in guardia da un’attempato “maestro d’amore” nei confronti della” doppiezza” femminile: l’amore di una donna è una rete dorata di sottili e melliflui inganni in cui è quasi sempre inevitabile venire catturati.
Simili situazioni si ripetono da millenni, ma pare che queste ripetute lezioni artistiche, letterarie o musicali servano a ben poco: gli allievi ricascano sempre negli stessi errori.