” Lapis Piombino … una spezie d’amatita (matita) fatta artificialmente, che tinge di color di piombo e serve per disegnare” Filippo Balducci 1681
Con il termine “matita” oggi si intende il più comune oggetto per scrivere e disegnare: il lapis di legno con l’anima in grafite, di larghissimo uso nell’Ottocento in avanti. L’antenato della nostra matita è sicuramente quello che il Cennini, nel suoi libro dell’Arte (1437 ), descrive come una pria “pria (pietra) nera che vien dal Piemonte la quale è tenera e ben negra…e disegna secondo che vuoi”.
Questo mezzo chiamato anche “Pietra d’Italia”, si diffonde nelle botteghe soprattutto a partire nel tardo Quattrocento. I bastoncini in pietra si possono reperire già in natura in differenti gradi di compattezza cosa che permette al disegnatore di variare i toni di luminosità, passando da un’ intenso e cremoso, simile al carbone, a un grigio chiarissimo dai toni quasi perlacei. Per rendere più agevole l’uso di questo mezzo le punte venivano inserite in un tubo di metallo detto “matitatoio”.
A partire dalla fine del Cinquecento si affermano sempre più le matite in grafite, un materiale morbido e di grana omogenea che produce tratti netti, molto resistenti e facili da cancellare. Questa mina, preparata in cilindretti di metallo o di legno, produce un segno molto simile a quello dello stilo in piombo; veniva detta infatti ” lapis piombino”. Questo mezzo si presta a sostituire le difficili e laboriose punte metalliche e, grazie alla precisione e cancellabilità intrinseche, è lo strumento ideale per i disegni di architettura, completati in penna. I disegni realizzati a “sanguigna”, con certi pastelli colorati, oppure con le varie tipologie di gesso, artificiale, vengono spesso inseriti nella grande categoria dei ” disegni a matita”.