Icilio Federico Joni.
Icilio Federico Joni fu abbandonato, dopo la nascita, alla ruota dei gettatelli presso l’Ospedale di Santa Maria alla Scala a Siena.

Egli stesso scrive nel suo libro “Le memorie di un pittore di quadri antichi” che era figlio di Federico Penna di Sassari, furiere maggiore nel 53º reggimento di fanteria, che si suicidò il 3 settembre 1865 all’età di 26 anni, e di Giulia Casini che era rimasta incinta.
La famiglia per evitare lo scandalo decise di abbandonarlo o, per usare le parole dello stesso Joni: “per quanto la famiglia fosse gente di cuore, fui messo ai bastardi”.
Trascorsi 18 mesi il bambino fu riportato in famiglia e fu aggiunto il nome di Federico.
Ancora ragazzetto prese a frequentare la bottega di un doratore dove apprese quelle tecniche che utilizzerà in seguito nella sua professione di “pittore di quadri antichi”.
Il doratore, Angelo Franci, viste le capacità di Joni, gli consigliò di frequentare, sia pure saltuariamente, l’Istituto d’arte.
La riscoperta dei pittori primitivi italiani del Tre-Quattrocento e il conseguente sviluppo di un cospicuo mercato antiquario internazionale sono all’origine del fenomeno della produzione di “quadri antichi”.
Fra i centri italiani che tra diciannovesimo e ventesimo secolo si dedicarono alla realizzazione di oggetti d’arte “antica”, Siena ebbe un ruolo importante.
Le falsificazioni
destinate a una larga clientela di facoltosi collezionisti stranieri, soprattutto americani, ebbero talvolta esiti qualitativi tali da farle considerare oggi autentiche opere d’arte.
Il dominatore della “scuola dei falsari” fu appunto Joni, un “bastardo”, come si definivano a Siena i trovatelli dell’ospedale di Santa Maria della Scala e che divenne notissimo per le sue Madonne, riproduzioni di quelle dell’antica scuola senese.
Questi, in vecchiaia, raccolse e pubblicò la propria autobiografia.
Le memorie di un pittore di quadri antichi (1932)
ebbe una immediata traduzione in inglese e che contribuì ad accrescere i sospetti che dietro ogni tavola proveniente da Siena e circolante in quegli anni sul mercato antiquario si nascondesse in realtà il lavoro dell’ormai celebre Joni.
Il suo nome divenne il ricettacolo attributivo di ogni antica tavola a tempera su fondo oro sospetta e finì per diventare sinonimo di falso. Così, spesso indebitamente, finirono per essergli attribuiti decine di dubbi “fondi oro” apocrifi.
Intorno a Federico Joni si formarono e gravitarono numerosi restauratori e “pittori di quadri antichi”: da Igino Gottardi a Gino Nelli, da Arturo Rinaldi detto “Pinturicchio” a Bruno Marzi a Umberto Giunti.
È sepolto nel Cimitero del Laterino a Siena.